Si, che si puo ! Ora è tutta un’altra Bucarest

Nuove gallerie e musei, affollati di giovani brillanti e cosmopoliti. La capitale rumena è cambiata. E attira talenti da tutto il mondo

bucarest

È così grande che la comitiva di turisti francesi resta sbalordita e con lo sguardo non riesce ad abbracciarla. La Casa del Popolo di Bucarest è il secondo edificio più imponente al mondo dopo il Pentagono, frutto della megalomania del dittatore romeno Nicolae Ceausescu: 350mila metri quadrati, mille stanze, un milione di metri cubi di marmo della Transilvania. Odiato simbolo del passato comunista, oggi il palazzone è sede del Parlamento romeno e principale attrazione per chi visita la città. Ma dietro l’angolo, in un’ala della Casa del Popolo, si nasconde l’epicentro vitale dell’altra Bucarest. Arrivano verso sera alla spicciolata, a piedi e in bici, gruppi di hipster, studenti universitari e giovani artisti, per l’inaugurazione della nuova mostra al Mnac, il museo d’arte contemporanea diventato punto di riferimento dei creativi dei Balcani e dell’Europa dell’Est. Perché l’arte contemporanea romena non è solo Adrian Ghenie, che quest’anno ha venduto un’opera a più di tre milioni di sterline da Sotheby’s a Londra, ma è fatta da un bel gruppo di talenti emergenti. «Fino a dieci anni fa la vita culturale in Romania ruotava intorno alla letteratura, oggi la visual art ha conquistato uno spazio importante», spiega dietro la scrivania disseminata di cataloghi Calin Dan, 61 anni, direttore del Mnac e artista di spicco della generazione a cavallo del 1989, tornato in patria dopo un lungo periodo ad Amsterdam. «Le nuove generazioni si interessano al design, alla moda, all’architettura, frequentano le scuole d’arte. Oggi nasce e si rafforza un mercato internazionale», aggiunge Dan. L’establishment politico e l’avanguardia culturale convivono, dunque, all’interno dello stesso palazzo: si guardano con sospetto e spesso si scontrano. Ma questo è solo uno dei contrasti della Bucarest di oggi, coacervo di paradossi, soprattutto architettonici.

Nel mondo, infatti, la capitale romena ha un’immagine triste, cupa, segnata dal passato comunista. Le tracce dell’architettura razionalista sono ovunque, ma i block grigi fatti costruire da Ceausescu per operai e impiegati statali sono concentrati in periferia. Quello che colpisce, invece, è il continuo gioco di sovrapposizioni: medievali, turche, neoclassiche, neoromene. E la presenza spiazzante di grandi edifici, ville e hôtel particulier progettati tra fine Ottocento e inizi del Novecento da architetti francesi, quando la città popolata da uomini d’affari e belle dame veniva chiamata la “Parigi dell’Est”. Un vasto patrimonio di edifici storici logorato dal tempo, su cui il World Monument Fund e altre organizzazioni internazionali hanno acceso i riflettori. Dopo la fine del comunismo, infatti, molte case requisite dal regime sono tornate ai legittimi proprietari e ai loro ere- di, che in molti casi però non hanno né mezzi né sovvenzioni per restaurarle. Cristiana Tautu, 30 anni, fa parte di Calup, il gruppo di architetti e urbanisti di Bucarest che si occupa di recuperare i palazzi a rischio. «Contattiamo i proprietari delle ville, proponiamo loro idee e progetti per valorizzarle o trasformarle, aprendole al pubblico. Mettiamo in contatto chi cerca spazi con chi è in grado di offrirli: finora ne abbiamo mappati 600», dice Cristiana al tavolo di Dianei 4, un villino Anni ’20 vicino all’università, luogo di incontro di giovani expats e alternativi. Gli stessi che si danno appuntamento per l’aperitivo nei giardini di Terasa Monteoru o Eden, alle spalle di due splendide ville liberty mangiate dagli anni, Casa Monteoru e Palatul Stirbei, su calea Victoriei, la centralissima arteria costellata di edifici eterogenei: gli esperimenti in stile Bauhaus e il Museo George Enescu in un favoloso palazzo Art Nouveau. Qui come nella città vecchia, i luoghi segnati dal tempo fanno da sfondo alla Bucarest del futuro. A Lipscani, l’ex ghetto ebraico occupato dalle famiglie rom negli anni del regime comunista ora si ritrovano i giovani che preferiscono la confusione e i bar con atmosfera festaiola da isola greca. «Questa è una città economica, sicura e friendly, si riescono a organizzare eventi incredibili, che attirano giovani da ogni parte del mondo», dice CosminTapu, 36 anni, fondatore di Rokolectiv, il più importante festival di musica elettronica della capitale romena, che si svolge sulla terrazza del Mnac e nel Control Club. «Il mio rapporto con Bucarest però è di amore e odio: a volte voglio scappare. Lavorare qui spesso diventa complicato, le istituzioni non fanno altro che metterti i bastoni tra le ruote».

Quello che colpisce è la contraddizione tra il fermento culturale, che genera continuamente eventi, festival, happening, e la rigidità della pubblica amministrazione, che impone regole sempre più restrittive e offre poco sostegno alle nuove iniziative. «Tredici anni fa abbiamo cominciato ad aprire le nostre case per esporre le nostre opere, perché non c’erano spazi adeguati. Oggi la situazione non è molto cambiata: l’unica speranza per i giovani artisti sono le gallerie private come Salonul de proiete, che vendono le loro opere e hanno relazioni internazionali molto più intense rispetto ai musei pubblici», dice Vlad Nanca, 37 anni, uno degli artisti romeni più conosciuti della sua generazione, che espone in tutto il mondo, dall’Italia a Hong Kong. Anche gli organizzatori della nightlife non hanno vita facile e sono costretti a fare i conti con le norme varate dopo l’incendio alla discoteca Colectiv il 30 ottobre scorso, costato la vita a 64 persone. La tragedia ha scatenato un’ondata di manifestazioni anti-corruzione, fino alle dimissioni del governo guidato dal primo ministro Victor Ponta. A quasi un anno dal rogo ora anche gli spazi meno convenzionali cominciano a riaprire le porte, nelle ex fabbriche di fine Ottocento e in quelle abbandonate dopo il grande sviluppo industriale degli anni Sessanta. Come Halele Carol, complesso ottocentesco trasformato in luogo per concerti di musica elettronica e jazz, dj set, mostre fotografiche e di design, workshop e conferenze. O come Fabrica Club, vicino a piata Unirii, ex calzificio diventato hub culturale: grande cortile con tavolini all’aperto, sala da concerti, ciclofficine e negozi di skateboard. Mentre si danno da fare associazioni come Fara Nume (Senza nome), formata da giovani artisti e storici dell’arte, che si occupa di rivitalizzare le fabbri- che abbandonate e ogni anno organizza il festival Art Factor (dal 23 settembre al 2 ottobre, asociatiafaranume.org) nell’ex area industriale Pantelimon. Nel frattempo, Bucarest con i suoi due milioni di abitanti sogna di diventare Capitale europea della cultura 2021. A fine settembre la Romania sceglierà la sua candidata: in corsa, nel Paese, ci sono anche Baia Mare, Cluj-Napoca e Timisoara, ma la capitale è data in pole position da tutti i bookmaker.

A chi arriva dall’aeroporto internazionale Otopeni per dirigersi verso il centro la città mostra zone verdi abitate da nuovi ricchi, imprenditori e expat al seguito delle multi- nazionali; i grandi boulevard Aviatorilor e Dorobantilor, costeggiati da piste ciclabili e aiuole ben curate; la zona di Floreasca, con sontuose ville storiche coperte di edera e sedi di ambasciate, uffici di società e lussuose case priva- te. Sono tasselli di una città complessa, piena di angoli sorprendenti, con mille anime pronte a mettersi in gioco per vincere la sfida del 2021. «Per la prima volta Bucarest viene studiata a fondo e non viene considerata un blocco unico, ma 67 quartieri messi insieme», conclude Cristiana Tautu, nello staff organizzativo del comitato Bucuresti 2021: «In genere le attività culturali sono circoscritte al centro della città, invece con questa candidatura ogni zona, anche la periferia, viene messa in relazione con le altre e con la scena indipendente. Finalmente gli abitanti di Bucarest possono partecipare alla stesura dei progetti, e discutere tra loro».

IL MONDO DI MIRCEA CARTARESCU Mircea Cartarescu, 60 anni, è il più importante scrittore romeno contemporaneo, premiato in Germania, Svizzera, Austria, vincitore quest’anno del premio von Rezzori e finalista al premio Strega europeo. Nella trilogia Abbacinante, pubblicata in Italia da Voland, la città di Bucarest è sempre protagonista, nei suoi passaggi storici, nei suoi luoghi più nascosti, spesso trasfigurata. Come vede oggi la sua città? «La patina del tempo si depone e si consolida ogni giorno. Può dare la sensazione di una città invecchiata, anche se per me questo rappresenta il suo fascino e la sua umanità. Non mi piacciono gli edifici in vetro e acciaio, preferisco la rovina del tempo». Questo legame col passato come influenza gli abitanti? «Il 1989 ha spaccato in due la popolazione. Gli anziani sono nostalgici;
i giovani, nati nei block operai, non possiedono alcun senso della storia». Tuttavia a Bucarest la vita culturale è molto vivace, anche grazie ai giovani. «La cinematografia è tra le migliori al mondo. Senza contare i teatri off, le gallerie d’arte, gli happening e la cultura di strada. In questi luoghi c’è un confronto continuo tra generazioni diverse».

di Flavia Capitani